martedì 3 maggio 2016

La commissione europea vieta, nei progetti H2020, l'utilizzo dei cococo, cocopro e assegni di ricerca all'Università Italiana.


La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi.
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%). 

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


Il Governo italiano sembra essere determinato, per il momento, nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca.
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente.

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE.
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa.
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca.

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana.

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 


La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi. 
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%).  

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


l Governo italiano sembra essere assai confuso in materia, ma altrettanto determinato nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca. 
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente. 

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE. 
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa. 
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca. 

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana. 

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 



La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi.
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%). 

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


l Governo italiano sembra essere assai confuso in materia, ma altrettanto determinato nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca.
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente.

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE.
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa.
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca.

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana.

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 


dalla comunicazione UE (europe.eu)

List of issues applicable to particular countriesItaly
Category:  WORKFORCE CONTRACTS
Issue: Contratto a progetto (co.co.pro.), Contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co),Assegni di Ricerca
Reply: May NOT be declared as personnel costs.However, they may be eligible as:Subcontracting: if the activities  covered by the contract  are part of the tasks of the action detailed in Annex 1 (e.g.:the contract is to produce deliverable X, to work on work  package Z, to carry out research work for the H2020 action)-Purchase of services: if the activities covered by the contract are not part of the tasks of the actionIn both cases the award of the contract must fulfil the specific  eligibility conditions (Article 10 or Article 13), including that  the contract must be awarded ensuring best value for money  and no conflict of interests.If the contract remunerates also other activities on top of the work in the H2020 action ( i.e. it is not exclusive for the H2020 action) the beneficiary cannot charge any part of that contracts as direct cost unless:- the contract fixes a specific amount to be paid for the  work in the H2020 action, or-there is other direct measurement of the cost  corresponding to the work in the H2020 action (example:  the contract sets a price of 100 € per test and 50 tests  have been done for the H2020 action).Otherwise that contract would be considered indirect cost  (covered by the 25 % flat-rate)    


















mercoledì 7 ottobre 2015

Tempo di primi risultati H2020 e SME Instrument






Alla data del 31 dicembre 2015 si esaurirà il primo biennio di programmazione delle call di Horizon 2020 (nonché dello strumento SME Instrument, a H2020 collegato). Quindi può tornare utile una analisi di questi primi due anni. I dati sono emessi dalla UE, (DG Ricerca) e raccolti e accorparti attraverso la sintesi di documentazione europea.


La Dg Ricerca della Commissione Ue ha pubblicato i risultati dei primi 100 inviti a presentare proposte (call) lanciati (anni 2014 – 2020) nell’ambito del programma europeo per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020.
Rileviamo immediatamente come di sia abbassata la percentuale dei progetti finanziati. Siamo passati da un 20 % della programmazione del 7imo programma quadro al 14%, in calo rispetto al precedente settennato del 6 %. Prima veniva approvato 1 progetto su 5, con H2020 abbiamo 1 progetto su 7, ovviamente in termini di media europea.  

L’Italia è terza in Europa per numero di domande presentate nel contesto di Horizon 2020

Questa percentuale si dimezza poi sullo SME Instrument, dove la competizione diventa più forte e le richieste di livello innovativo sono alte e precise. Parliamo del 7% circa (come media Europea) cioè 1 progetto ogni 14 presentati 
Enti e imprese italiane non hanno ancora risultati migliori dei principali paesi membri della Ue, ma gli ultimi dati, specie sullo SME instrument, indicano una inversione di tendenza, peraltro senza enfasi eccessive (ndr, fate riferimento al mio post del 28 marzo 2015: Strumenti della nuova programmazione per le piccole e medie imprese)

In questo programma l'Italia è prima come numero di proposte presentate.


Ma vediamo lo scenario generale: H2020

La Commissione Ue ha ricevuto, in questi primi due anni, 111.579 domande, provenienti dai 28 Stati membri, in risposta ai primi 100 inviti di Horizon 2020, un numero superiore come valore medio rispetto al valore medio annuo del settimo programma quadro che era intorno ai 85.440 proposte presentate anno (598.080 proposte totali presentati relativamente all’intero periodo, sette anni dal 2007 al 2013, del FP7).
Il Regno Unito si colloca al primo posto per domande presentate (oltre 14.000), seguito da Germania (più di 13.000) e Italia (circa 12.000).
Agli ultimi posti ci sono Lussemburgo, Lettonia e Malta, con meno di mille domande presentate.



Guardando alla partecipazione dei Paesi terzi, invece, la Commissione Ue ha ricevuto complessivamente 3.950 domande provenienti da 122 Paesi, con gli Stati Uniti in testa (oltre 1%), seguiti da Canada e Cina (0,4%).




Tasso di successo e partecipanti
Delle 111.579 domande presentate la Commissione Ue ha valutato ammissibili 31.115 proposte complete (ammissibili). Significa che 80.464 proposte non erano ammissibili (!!), se non fosse un lavoro enorme capire i motivi per cui non erano ammissibili darebbe alcune preziose indicazioni. Delle proproste progetti ammissibili solo  4.315 (14% come media europea), come evidenziato prima, sono state le proposte finanziate mediante l’accesso ai contributi di Horizon 2020 (cioè ammissibili e finanziate), un tasso di successo inferiore rispetto a quello registrato dal 7PQ (20%). Si è alzato quindi il livello della complessità.





Il tasso di successo (cioè quel valore medio europeo del 14 %) delle domande presentate varia da paese a paese, con Francia e Belgio ai primi posti (17% circa), seguite da Austria ed Estonia (più del 16%). Agli ultimi posti si collocano Italia (11,9%) e a seguire Croazia, Ungheria, Slovenia e Bulgaria (tutte al di sotto del 11,9 %).
Quindi, per l'Italia, su 12.000 proposte presentate, le proposte accettate dall’Unione Europea sono state 1428 cioè l’11,9 % (poco meno di 1 su 12).



Tra i partecipanti, sempre a livello europeo, invece, le università si sono distinte per il maggior numero di domande ammissibili (5.977), seguite dal settore privato (5.566) e dalle organizzazioni di ricerca (4.164), mentre gli enti pubblici si registrano ultimi (1.133).



Grant agreement

Una volta approvato il progetto presentato nell’ambito di Horizon 2020 i beneficiari devono sottoscrivere un contratto di sovvenzione con la Commissione Ue, noto come grant agreement
Per i primi 100 bandi Horizon 2020, sono gli inglesi i partecipanti che hanno sottoscritto il maggior numero di grant agreement (15% circa), seguiti da tedeschi (14%), spagnoli (11% circa) ed italiani (10% circa). Lettonia, Lituania e Malta sono ultime in Europa per contratti firmati.


Guardando ai Paesi terzi, invece, il maggior numero di grant agreement è stato siglato con gli Stati Uniti, seguiti da Canada, Sud Africa e Cina.


Il contributo europeo assegnato ai partecipanti varia profondamente tra i 28 Stati membri, a causa di diversi fattori, tra cui la dimensione del progetto presentato e i costi previsti in ogni Paese. I tedeschi sono primi in classifica per contributi europei ricevuti (23% circa), seguiti da inglesi (15%), francesi (più del 10%), spagnoli ed italiani (meno del 10%). Agli ultimi posti ci sono Slovacchia, Lituani e Malta.



In merito alla tipologia dei partecipanti le università sono prime per l'adesione agli accordi di sovvenzione, seguite dal settore privato e dalle organizzazioni di ricerca. Guardando ai contributi europei assegnati le università sono di nuovo prime, segutite dalle organizzazioni di ricerca e dal settore privato.



Concentrandosi sul ruolo delle PMI nei grant agreement, si nota un aumento considerevole della loro partecipazione rispetto al 7PQ (+5% circa), anche in termini di contributi europei assegnati (+4% circa).


Nuovi partecipanti

Tra i partecipanti ai primi 100 bandi Horizon 2020 il 38% rientra nella categoria dei 'nuovi arrivati', ossia coloro che non hanno presentato domande nell'ambito del precedente 7PQ. Si tratta di un dato positivo secondo la Commissione Ue, che dimostra gli sfrozi fatti finora per rendere Horizon 2020 più accessibile. Tra i nuovi arrivati il 40% è rappresentato dalle PMI.


SME Instrument

L'EASME ha ricevuto 4.694 domande nell'ambito dello SME Instrument di Horizon 2020, con le PMI italiane in testa (887 domande), seguite da quelle spagnole (740), inglesi (412), tedesche (338) e francesi (267). Agli ultimi posti ci sono le imprese croate, lussemburghesi e maltesi.



La situazione cambia profondamente se si prende in cosiderazione il tasso di successo delle domande presentate, ossia le proposte effettivamente finanziate, con Malta al primo posto, seguita da Irlanda, Svezia, Danimarca, Regno Unito. L'Italia si colloca al 14esimo posto (con una percentuale del 6,3% circa (con 56 approvazioni su 887 richieste presentate). Qui il basso tasso di innovazione delle imprese italiane pesa moltissimo.


Notiamo quindi come a fronte di un elevato numero di domande presentate, l'aspetto rilevante sono le % non esaltanti dei progetti approvati. Probabilmente, interventi che da un lato alzino e favoriscano il riconoscimento e la professionalizzazione di una figura, oggi evanescente in Italia, come quella del progettista per i bandi europei (e non), affiancato da interventi atti a favorire un aumento culturale su questi strumenti e sulle caratteristiche di qualità e di innovazione necessarie (e non sufficienti) per poter presentare un progetto, potrebbero aiutare a invertire una tendenza che oggi ci fa perdere milioni di Euro e opportunità di sviluppo sostenibile.


martedì 1 settembre 2015

Approvazione del POR FESR VENETO: il riassunto negli obiettivi prioritari e nelle allocazioni economiche.



Con comunicazione di un qualche giorni fa (18 Agosto 2015, per la precisione), la Comunità Europea ha approvato il POR FESR del Veneto.
Come sapete si tratta di fondi FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) che ogni regione realizza mixando le priorità definite dalla Commissione Europea per la programmazione in corso e gli adeguamenti nazionali, con specifiche richieste locali (Regionali, appunto) derivanti dal contesto e dalla situazione socio – economica locale (in questo caso della Regione Veneto).
Con questa approvazione si conclude l’iter programmatorio per il periodo 2014 – 2020. Ora bisognerà attendere che la macchina burocratica Regionale faccia i passi necessari per arrivare ai Bandi Regionali.
Sono quindi stati sbloccati 600 milioni di euro (Per l’intero periodo 2014 – 2020) per investimenti strutturali nella Regione del Veneto, di questo 300 milioni sono finanziati dall’Unione Europea.

Come dicevo questo documento definisce programmazione e obiettivi della politica Veneta in questo periodo di programmazione. E i soldi, sono a noi (Veneto) destinati. Si potrebbe dire basta spenderli. Ma ricordiamoci che nonostante alcune buone performances, siamo MAI riusciti a spendere integralmente le dotazioni ottenute e al Veneto destinate.
Non essendoci, ad oggi, 1 Settembre 2015 nessun bando esecutivo relativo a questi fondi, vi elenco in maniera sintetica a quali obiettivi fanno riferimento.

Comparazione degli obiettivi generali europei con le % di raggiungimento di quelli nazionali e della programmazione della Regione Veneto. 

Crescita intelligente: per sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, l’UE mira altresì a raggiungere un 40% di laureati o con titolo equivalente tra i giovani dai 30 ai 34 anni. L’Italia non raggiunge la media europea e mira a un target del 26-27% nel 2020, mentre il Veneto si ferma ad un 21,4% (2012) - sotto alla media nazionale pari al 21,7% (2012) - tuttavia in crescita rispetto al 16,1% del 2005.

Crescita sostenibile: per quanto riguarda l’obiettivo europeo di ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, il Veneto contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo nazionale che mira a ridurre le emissioni di gas serra del 13% rispetto al 2005. Per la sostenibilità della crescita vengono inoltre proposti gli obiettivi dell’aumento del 20% dell'efficienza energetica e del raggiungimento del 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili; il target (nazionale) per quest’ultimo obiettivo è fissato al 17% per l’Italia e al 10,3% per il Veneto.
       
Crescita inclusiva: La crescita inclusiva promuove un alto tasso di occupazione e il target europeo mira a un tasso di occupazione del 75% tra i 20 e i 64 anni. L’Italia mira a raggiungere nel 2020 il 67/69% di occupazione, percentuale su cui si attesta già ora il Veneto.

Capacità innovativa: il Veneto si colloca tra i “moderate innovators” secondo il Regional Innovation Scoreboard 2014 della CE: “sistema territoriale che opera in un regime inferiore alla media UE ma che dispone di punti di forza, quali l’innovazione non basata su R&S, e che in generale utilizza tecnologie e sistemi innovati già sviluppati da altri”.
Per un’analisi di contesto dei distretti si rimanda al documento RIS3 della Regione del Veneto.
La capacità innovativa del Veneto — data dal rapporto fra la spesa pubblica e privata per R&S ed il prodotto regionale — è al di sotto della media italiana (1,07%, 2012) e ancora molto lontana dagli obiettivi per l’Italia di UE 2020 (1,53%). Incide negativamente, in particolare, la bassa percentuale della spesa pubblica in R&S sul PIL (0,3%). Viceversa la Regione Veneto si caratterizza per peculiarità positive costituite dall’elevato peso della spesa per R&S privata rispetto alla spesa complessiva (67,2%, 2011) e dall’elevata accelerazione fatta registrare dall’indicatore negli ultimi 5 anni. La maggiore quota di investimenti in R&S è riconducibile al comparto manifatturiero (72% della spesa).

Situazione digitale: pur occupando uno dei primi posti in Italia, il Veneto non conferma la sua capacità se confrontata con l’Europa, a causa di un ritardo strutturale italiano.
A livello regionale, i dati sulla copertura del servizio di banda larga di base (almeno 2 Mbps) presentano una copertura della popolazione compresa tra il 95-100% (Rapporto Caio, 2014) mentre, all’inizio del 2014, la copertura del servizio a banda larga a 30 Mbps è pari indicativamente al 7,56% della popolazione del Veneto, in particolare residente nei principali Comuni della Regione (2013, MiSE).
Due famiglie venete su tre dispongono di una connessione internet, rispetto al 61% in Italia, con una crescita sostenuta negli ultimi anni superiore a quella nazionale. La quasi totalità delle imprese venete con più di 10 addetti operanti nei settori industria e servizi dispone di PC (99%) e conta sulla diffusione della banda larga (96,2%) (2014).
Per quanto riguarda la copertura della popolazione con banda ultra larga (almeno 100Mbps) il dato in Veneto è pari allo 0,05% (2013, MiSE): ovvero vi sono pochissime aree del territorio del Veneto coperte con questa velocità di connessione. L’assenza di copertura con banda ultra larga rappresenta un punto di debolezza, soprattutto per gli insediamenti produttivi.

Secondo il documento approvato la Regione ha ideato e proposto una strategia (S3) che viene descritta da queste parole che riporto integralmente:
Strategia di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente” (S3) in corso di avanzata elaborazione da parte della Regione Veneto. Si tratta dell’agenda per lo sviluppo socio-economico del territorio, integrata e place – based  finalizzata a valorizzare gli ambiti produttivi di eccellenza tenendo conto del posizionamento strategico territoriale e delle prospettive di sviluppo in un quadro economico globale, identificare i vantaggi competitivi e le specializzazioni tecnologiche più coerenti con il potenziale di innovazione regionale su cui concentrare le risorse, mettere a sistema oltre ai principali stakeholder (imprese, istituzioni della conoscenza, policy makers) anche le politiche di ricerca e innovazione al fine di accrescere il patrimonio di conoscenze e diffondere i vantaggi dell'innovazione nell'intera economia regionale, grazie ad un vero e proprio percorso di entrepreneurial discovery”
In questo contesto, sia la Commissione UE che la conferenza delle Regioni hanno identificato un insieme di “Driver” fondamentali per raggiungere gli obiettivi prefissati: il digitale e l’ICT sono un fattore di innovazione congiunto dei processi economici (sviluppo della capacità produttiva ICT-based, economia della conoscenza, start-up innovative…), dei processi sociali (cittadinanza digitale, innovazione sociale, crowdsourcing e crowdfunding), così come dei processi istituzionali e amministrativi (e-government e open government, framework di interoperabilità…).

A seguire il documento del POR FESR VENETO individua 4 aree di specializzazione e sette Assi prioritari. Sono aree di specializzazione:
a) Il settore dell’Agrifood (riferendosi ad esempio alla micro ricettività culinaria diffusa e alla produzione di vini di qualità)
b) Il settore della Creatività (riferendosi ad esempio al Distretto calzaturiero della Riviera del Brenta, all’area dello “sport system” di Asolo e Montebelluna, al Distretto bellunese dell’occhialeria, al Distretto orafo di Vicenza e al Distretto Vicentino della concia…)
c) Il settore della Smart Manifacturing include la componentistica meccanica e la meccanica
strumentale (meccatronica) che rappresentano due settori di una specializzazione più ampia,
con forti interdipendenze.
d) Il settore della Sustainable Linving riguarda sia le caratteristiche della struttura esterna delle abitazioni e più ingenerale delle costruzioni che le modalità di fruizione degli spazi interni. Ne fanno parte ilsettore delle costruzioni nelle sue varie articolazioni, i produttori di materiali e impianti, l’industria dell’arredamento con la sua tipica organizzazione distrettuale.

Elenchiamo quindi gli assi prioritari, gli Obiettivi Tematici (OT) prioritari identificati e l’allocazione finanziaria per ogni OT


Asse 1 – Ricerca, Sviluppo tecnologico e Innovazione (con riferimento all’OT 1)
Asse 2 – Agenda Digitale (con riferimento all’OT 2)
Asse 3 – Competitività dei Sistemi produttivi (con riferimento all’OT3)
Asse 4 – Energia sostenibile e Qualità della vita (con riferimento all’OT 4)
Asse 5 – Rischio sismico ed idraulico (con riferimento all’OT 5)
Asse 6 – Sviluppo Urbano Sostenibile (con riferimento agli OT 2, 3, 4 e 9).
Asse 7 – Capacità amministrativa e istituzionale (con riferimento all’OT 11)


Asse 1 - Ricerca, Sviluppo tecnologico e Innovazione (103.479.552,00 €)
- Rafforzare e qualificare le infrastrutture di ricerca pubbliche e private in termini dicreazione di nuovi laboratori, miglioramento degli impianti esistenti e della strumentazione scientifica delle strutture di ricerca (Atenei, imprese, strutture per l’innovazione e il trasferimento tecnologico), e realizzazione di centri di competenza per la fornitura di servizi trainanti in grado di favorire le ricadute della conoscenza sul sistema produttivo regionale.
- Promuovere gli investimenti delle imprese in ricerca e innovazione attraverso il sostegno
all’inserimento nel sistema produttivo di capitale umano altamente qualificato (ricercatori, personale tecnico altamente specializzato, …).
- Sostenere l’acquisto di servizi per l’innovazione tecnologica, strategica, organizzativa e commerciale da parte di micro, piccole e medie imprese.
- Promuovere lo svolgimento di attività di R&S da parte delle imprese anche in forma aggregata, anche mediante partnership Centri di ricerca – imprese.
- Supportare la creazione e il consolidamento di start-up innovative ad alta intensità di conoscenza e le iniziative di spin-off della ricerca in ambiti in linea con le strategie di specializzazione intelligente.

All’interno di questi obiettivi viene scelto come prioritario l’
OT 1 - "Rafforzare la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione” entro il quale vengono identificate due azioni prioritarie”:
a) Potenziare l’infrastruttura per la ricerca e l’innovazione e le capacità di sviluppare l’eccellenza delle R&I e promuovere centri di competenza, in particolare quelli di interesse europeo; (€ 30.000.000,00 €)
b) promuovere gli investimenti delle imprese nell'innovazione e nella ricerca e sviluppare collegamenti e sinergie tra imprese, centri di R&S e istituti di istruzione superiore, in particolare lo sviluppo di prodotti e servizi, il trasferimento di tecnologie, l'innovazione sociale, l'ecoinnovazione, le applicazioni nei servizi pubblici, la stimolazione della domanda, le reti, i cluster e l'innovazione aperta attraverso la specializzazione intelligente, nonché sostenere la ricerca tecnologica e applicata, le linee pilota, le azioni di validazione precoce dei prodotti, le capacità di fabbricazione avanzate e la prima produzione, soprattutto in tecnologie chiave abilitanti e la diffusione di tecnologie con finalità generali; (73.479.252,00 €)


Asse 2 - Agenda digitale (68.986.368,00 €)
- sostegno alla diffusione della banda ultra larga (velocità di connessione ad almeno 30 Mbps) in modo da soddisfare la domanda crescente da parte della popolazione e delle imprese di servizi di nuova generazione;
- razionalizzazione dei Data Center Pubblici sia in una ottica di riduzione della spesa pubblica nel campo delle TIC che in vista di un ammodernamento delle infrastrutture di servizio della pubblica amministrazione;
- promozione e qualificazione dell’offerta di servizi interattivi e di e - government da parte degli Enti Pubblici;
- sostegno alla interconnessione delle banche dati attraverso la promozione all’adesione al circuito CRESCI - Servizi di cooperazione e interoperabilità;
- sostegno al processo di alfabetizzazione e inclusione digitale di cittadini e imprese.

OT 2 – “Migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nonché l’impiego e la qualità delle medesime.”
Le relative azioni prioritarie scelte sono:
a) estendendo la diffusione della banda larga e il lancio delle reti ad alta velocità e sostenendo l’adozione di reti e tecnologie emergenti in materia di economia digitale; (30.000.000,00 €)
b) sviluppando i prodotti e i servizi delle TIC, il commercio elettronico e la domanda di TIC; (7.500.000,00 €)
c) Rafforzando le applicazioni delle TIC per l’e-government, l’elearning, l’e-inclusione, l’e-culture e l’e-health; (31.486.368,00 €)

Asse 3 - Competitività dei sistemi produttivi (160.968.192,00 €)
- potenziare la propensione agli investimenti, anche accompagnando le imprese verso processi di riorganizzazione e ristrutturazione;
- sostenere la competitività dei sistemi produttivi territoriali, sulla scorta della nuova interpretazione dei distretti e delle reti/aggregazioni di impresa;
- ampliare i collegamenti con i mercati internazionali, fornendo gli strumenti per accedere ai nuovi mercati esteri;
- supportare la nascita e consolidamento di nuove imprese, avviando anche processi di re startup e di potenziamento dei settori tradizionali con strumenti digitali;
- migliorare l’accesso al credito e il finanziamento delle imprese, in logica anticiclica con strumenti finanziari, sia più innovativi quali il capitale di rischio (private equity, venture capital, ecc), sia più consolidati (es. fondi di rotazione, garanzie e Confidi).

OT 3 – “Accrescere la competitività delle PMI”
Azioni:
 a) promuovendo l’imprenditorialità in particolare facilitando lo sfruttamento economico di nuove idee e promuovendo la creazione di nuove aziende, anche attraverso incubatori di imprese; (25.748.864,00 €)
b) sviluppando e realizzando nuovi modelli di attività per le PMI, in particolare per l’internazionalizzazione; (104.739.776,00 €) 
c) sostenendo la creazione e l’ampliamento di capacità avanzate per lo sviluppo di prodotti e servizi; (20.000.000,00 €)
d) sostenendo la capacità delle PMI di crescere sui mercati regionali, nazionali e internazionali e di prendere parte ai processi di innovazione; (10.479.552,00 €)


Asse 4 - Energia sostenibile e qualità della vita (94.856.256,00 €)
- Miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici pubblici per un risparmio di fonti primarie di energia, riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e sostegno ad interventi che promuovano l'efficientamento energetico tramite teleriscaldamento e teleraffrescamento dando priorità a impianti da fonte rinnovabile (smartbuilding).
- Risparmio energetico nell'illuminazione pubblica tramite sistemi di regolazione automatici (sensori) e di riduzione dell'inquinamento luminoso nel territorio regionale, nell'ottica di un miglioramento dell'efficienza energetica negli usi finali e la promozione dell'energia intelligente.
- Riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di gas climalteranti nelle strutture e nei cicli produttivi delle imprese, anche attraverso I'introduzione di innovazioni di processo e di prodotto, agevolando la sperimentazione e diffusione di fonti energetiche rinnovabili per I'autoconsumo al fine di massimizzare le ricadute economiche a livello territoriale.
- Orientamento all’autoconsumo, ovvero commisurando la dimensione degli impianti ai fabbisogni energetici e incentivando l'immissione in rete nelle aree dove saranno installati sistemi di distribuzione intelligente dell’energia (smartgrids), perseguendone la diffusione nelle aree urbane, periurbane nonché all’interno delle aree interne.
- Sistemi infrastrutturali e tecnologici di gestione del traffico e per l’integrazione tariffaria attraverso la realizzazione di sistemi di pagamento interoperabili (es. bigliettazione elettronica, infomobilità, strumenti antielusione).

OT4 – “Sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori”:
Azioni
b) promuovendo l'efficienza energetica e l'uso dell'energia rinnovabile nelle imprese: (24.856.256,00 €)
c) sostenendo l’efficienza energetica, la gestione intelligente dell’energia e l’uso dell’energia rinnovabile nelle infrastrutture pubbliche, compresi gli edifici pubblici, e nel settore dell’edilizia abitativa.  (45.000.000,00 €)
d) Sviluppando e realizzando sistemi di distribuzione intelligenti operanti a bassa e media tensione;  (10.000.000,00 €)
g) promuovendo l’uso della cogenerazione di calore ed energia ad alto rendimento sulla base della domanda di calore utile.  (15.000.000,00 €)


Asse 5 - Rischio sismico e idraulico (45.990.912,00)
- mitigazione e di riduzione del rischio idrogeologico al fine di fronteggiare gli eventi alluvionali con la realizzazione di interventi strutturali nella rete idraulica principale, contribuendo ad aumentare la resilienza del territorio in funzione della prevenzione del rischio e alla protezione della popolazione esposta a rischio;
-  la messa in sicurezza sismica degli edifici strategici e rilevanti ubicati nelle aree maggiormente a rischio.

OT5 – “Promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi”;
Azioni:
b) promuovendo investimenti destinati a far fronte a rischi specifici garantendo la resilienza alle catastrofi sviluppando sistemi di gestione delle catastrofi. (45.990.912,00 €)


Asse 6 - Sviluppo Urbano Sostenibile (86.232.960,00 €)
- come fattore molto rilevante di qualità dell’ambiente urbano, viene identificato come prioritario il passaggio ad un sistema di mobilità (trasporto pubblico locale) ad alta sostenibilità per quanto riguarda emissioni ed uso dell’energia. Questo si associa ad un’azione finalizzata ad accrescere l’utilizzo del sistema pubblico della mobilità;
- il problema della qualità abitativa delle fasce escluse e marginali è ancora molto sentito nelle aree urbane del Veneto, sia come fattore di esclusione sociale che in termini di sostenibilità ambientale ed energetica. La risoluzione di questo problema costituisce un elemento importante di riequilibrio e coesione territoriale, oltre che di rigenerazione urbana, nella componente che riguarda in particolare l’inclusione sociale;
- la crisi produttiva, indotta anche dai deficit di innovazione e di capacità di agire in rete, del sistema delle piccole imprese commerciali nei centri delle maggiori città del Veneto (e in particolare nei centri storici) costituiscono un elemento di impoverimento non solo dei livelli di attività economica dei centri urbani ma della qualità della vita dei cittadini, della capacità di mantenimento della popolazione e nella capacità di attrazione di turisti e visitatori.
- Vi è la necessità di porre rimedio alla modesta capacità degli Enti locali di offrire servizi ad elevata interattività, nonché l’esigenza di elevare il livello di interoperabilità e di cooperazione applicativa tra gli enti pubblici, attualmente insoddisfacente.

OT2 – “Migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché l’impiego e la qualità delle medesime”;
Azioni:
c) rafforzando le applicazioni delle TIC per l'e-government, l'e-learning, l'e-inclusion, l'e-culture e l'e-health. (11.497.728,00 €) 

OT 3 – “Competitività  dei sistemi produttivi”
b) sviluppando e realizzando nuovi modelli di attività per le PMI in particolare per l’internazionalizzazione.  (11.497.728,00 €)

OT 4 – “Sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori”
e) Promuovendo strategie per basse emissioni di carbonio per tutti i tipi di territorio, in particolare le aree urbane, inclusa la promozione della mobilità urbana multimodale sostenibile e di pertinenti misure di adattamento e mitigazione.  (28.744.320,00 €)

OT 9 – “Promuovere l’inclusione sociale, combattere la povertà e ogni discriminazione”
b) sostenendo la rigenerazione fisica, economica e sociale delle comunità sfavorite nelle aree urbane e rurali.  (34.493.184,00 €)


Asse 7 - Capacità amministrativa e istituzionale ( 14.372.160,00 €)
“La Regione del Veneto intende ottenere il miglioramento della governance multilivello e delle capacità degli organismi coinvolti nella attuazione e gestione dei programmi operativi, in linea con le indicazioni dell’Accordo di Partenariato, del Position Paper sull’Italia, del PNR e delle Raccomandazioni Specifiche del Consiglio Europeo all’Italia che sottolineano l’importanza della capacità istituzionale e amministrativa, in particolare mediante il Piano di Rafforzamento Amministrativo (accompagnato dal reclutamento dedicato di personale a tempo indeterminato), in un’ottica complessiva di rafforzamento strutturale delle capacità di programmazione e gestione dei fondi SIE.”


OT 11 – “Rafforzare la capacità istituzionale delle Autorità pubbliche e delle parti interessate e un’amministrazione pubblica efficiente”:
Azioni:
a) Rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate e un'amministrazione pubblica efficiente mediante azioni volte a rafforzare la capacità istituzionale e l'efficienza delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici relativi all'attuazione del FESR, affiancando le azioni svolte nell'ambito del FSE per rafforzare la capacità istituzionale e l'efficienza della pubblica amministrazione. (14.372.160,00 €)

lunedì 20 luglio 2015

Perché fare un progetto europeo?





Salve a tutti quelli che mi leggono.
Dopo un po’ di tempo dedicato alla stesura di progetti su alcune call, eccomi di ritorno a scrivere un pezzo sul mio blog.
Mi aiuta partire dalla domanda che spesso mi viene posta: perché fare un progetto europeo?

Ritengo che la risposta possa essere divisa in due parti: la prima per provare a intendersi sulla parola “progetto”. La seconda sull’aspetto Europeo.
La parola che deriva dal latino, ha questa etimologia: pro avanti jacere gettare, ossia “ciò che viene gettato davanti
Nella vita, più o meno, tutto può essere definito come un “progetto”. Di solito comincia da un pensiero, un’idea, scatenata da un problema, da un bisogno o da un desiderio. A cui questo progetto dovrebbe portare una soluzione e un appagamento.  
A volte, invece, e sono le più rare inizia, con una intuizione (frutto di creatività o di un  processo di astrazione), su una qualche “cosa” che non esiste, ma che, se ci fosse, porterebbe un cambiamento, e magari per tanti, non solo per l’ideatore.
Nella vita comune il termine “progetto” viene applicato alle più svariate categorie e ad ambiti molto differenti: dal progetto di vita, con variabili note e ignote, al progetto di “avere” una casa, prima ancora di “fare” una casa. A progetti calati sui bisogni (primari, cibo, acqua, casa o edificio ecc…) sia singoli che di società.
A questo punto la Vostra immaginazione può spaziare in lungo e in largo.
Quindi cosa significa fare un “progetto”?
Significa fare uno “studio” preparatorio di un’impresa, di un’opera, di un servizio o di qualsiasi altra prodotto che abbia bisogno di una preparazione, di condizioni e di risorse per essere attuata.
Tralasciamo, per un attimo, ora, i progetti della “persona” intesa come singolo individuo riferiti alla sua vita e alla sua evoluzione.
In tutti i casi in cui, attraverso un progetto si punta alla realizzazione di un’opera o di un servizio, una delle voci ineludibili sono le risorse. Dentro a questo capitolo ci sono (uso termini nel loro senso generale) macchine, know-how,  strumenti, lavoro di persone.
Quando un ideatore ha la possibilità di trovare tutto ciò nel suo “magazzino”, compresi i soldi per pagare le persone, redige un progetto, pianificando obiettivi, azioni, tempi, risultati e prodotti (se è bravo anche verifiche dell’esecuzione). Dopo le opportune verifiche del progetto, investe le sue risorse e lo esegue. 
Se invece il “magazzino” è sprovvisto delle risorse, risulta necessario trovare le risorse che mancano. Per trovare queste, nel nostro sistema economico, sono necessari i soldi.

A questo punto o uno ne ha o li chiede. Generalmente, la stragrande maggioranza, si avvale di risorse private erogate, con interessi, da enti di credito (banche, fondazioni, assicurazioni).
Questo porta una aggiunta al lavoro del progettista, perché i soldi prestati vanno restituiti. Quindi la pianificazione delle attività post realizzazione del progetto va accuratamente ragionata per prevedere dei tempi di rientro.
Molte volte, però succede anche il caso opposto.
Ci sono entità che elaborano strategie, programmi, piani di sviluppo e obiettivi generali da raggiungere. Queste entità hanno le risorse economiche. Ma a queste entità di norma, mancano le altre risorse: realizzatori concreti dotati di strumenti, mezzi, know – how e lavoro di persone.
Nel privato, sappiamo bene quali siano i meccanismi.
Quando le risorse sono pubbliche, le risorse economiche non sono, spesso, “prestate” ma sono “erogate”a fronte di servizi o prodotti realizzati, ed è il caso dei bandi d’appalto, call for tender in inglese, o a fronte di progetti che portino risultati (beni o servizi fra i quali metodi, pratiche, modi e approcci) che permettano all’ente pubblico di raggiungere il PROPRIO obiettivo pianificato (e queste sono note come call for proposal).
Quindi, con denominatore comune un’ottica WIN WIN (ossia tutti raggiungono i propri obiettivi desiderati: “vincono tutti”), il “mio” progetto, sia io un ente pubblico o privato, deve entrare nella “rotaia” definita dall’ente pubblico erogante (con stessa direzione e verso) anche se può avere una forma sconosciuta all’ente erogante. Rotaia definita dal mainstream politico.
Cosa voglio dire? Che il progetto, pur essendo mio, diverso da tutti gli altri, e che raggiunge anche obiettivi miei, contribuisce, molte volte in una maniera sconosciuta a chi eroga, al raggiungimento degli obiettivi dell’ente erogante.

In questo inserisco qui il fattore tempo. Per necessità di controllo e concretezza ogni progetto ha un tempo di vita: specialmente in quelli finanziati da risorse pubbliche esiste un inizio (giorno/anno), una durata (mesi/anni) e una fine (giorno/anno). Sono i prodotti del progetto e/o gli effetti e le condizioni e/o l’utilizzo dei servizi e/o i benefici che devono durare dopo la fine del progetto.

Questo, ovviamente, è il caso dei famosi progetti europei. Dove le risorse (fondi europei), per motivi che non vi esplicito ora sono notevoli e a disposizione di chi si vuole cimentare in queste gare.

In ogni caso, sia l’ente erogante pubblico o privato, lo stesso determina delle regole e/o dei metodi per eseguire i progetti che hanno una duplice funzione: agevolare nella stesura il proponente e agevolare nella valutazione l’ente erogante.  Non solo in termini di contenuti ma anche in termini di strutturazione della proposta progettuale.
Capita anche che strumenti di progettazione esecutiva prodotti da altri enti, siano presi, modificati in maniera per renderli più adatti al contesto progettuale dell’ente erogante e utilizzati (ad esempio il WBS).
Nonostante oggi si stia arrivando alla prassi di presentare progetti in format online, questo non deve indurre a pensare che il lavoro di progettazione precedente (con strumenti adeguati all’idea progetto) sia inutile. Anzi. Diventa fondamentale per creare una struttura e non trovarsi a improvvisare scelte o decisioni durante una compilazione online.

Molti sono i metodi di progettazione pensati e poi applicati. Ne elenco qualcuno per conoscenza fra i più famosi: RAF (Ricerca Formazione Azione, FR, 1960); WBS (Work Breakdown Structure, USA, 1960; ZOPP (ZielOrientierte Projektolanung, D, 1970); MARP (Metodo Accelerato di Ricerca Partecipativa, GB, 1980); SWOT (Strength, Weaknesses, Opportunities, Threats, oggi strumento, inizialmente usato come base per progetti, UE, 1980) PCM (Project Cycle Management che contiene anche il Logical Framework  ed il Problem Tree, UE by EuropeAid, 1992. 

Eccoci quindi al contesto Europeo. Perché, se faccio un progetto, lo inserisco nel contesto Europeo? 

Nella concezione tipica e più spicciola, il proponente medio lo fa per ottenere i fondi pubblici.
Che tradotto significa risorse economiche non in prestito e quindi non da restituire. Anche se oggi, per la maggior parte in cofinanziamento (ossia in % sui costi ammissibili).
E, troppo spesso, lo fa ignorando politiche, finalità, contesti, che potrebbe essere anche ammissibile, ma anche ignorando quale strumento sia il più adatto alla SUA idea di progetto (ossia se fondi europei, fondi regionali, finanziamenti, linee ministeriali e/o governative).

Ricevo, anche oggi, richieste del tipo “devo cambiare la macchina per fare gli stampi e metterne una più moderna, e vorrei sapere se ci sono dei fondi europei a cui attingere”. Nonostante probabilmente questa “macchina moderna” è sul mercato perché il committente l’ha vista a una fiera, e quindi NON è una sua innovativa idea ma una necessità di produzione, di certo non è direttamente all’Europa che può andare a chiedere.  Potrà, forse, richiedere un finanziamento per l’ammortamento del costo della macchina per qualche anno in qualche linea governativa (Legge Sabatini ad esempio) o altre.
In linea di massima le attività che durante l’esecuzione del progetto o alla loro realizzazione o strettamente commerciali NON sono finanziate, o  nel caso siano inserite nei progetti, abbassano la quota di cofinanziamento europeo.   

La risposta al perché faccio un progetto europeo non può e non deve essere mai solo “soldi”.
Il contesto Europeo è altro. E’ imparare metodi e modalità. E’ lavorare in network, con culture e approcci differenti. Ampliare i nostri limitati, e a volte limitanti, contesti locali per ottenere conoscenza e capacità superiori. Sperimentare modi, metodi e risultati che portino davvero a cambiamenti. Ideare finalità di prodotti, che non siano solo dedicato al beneficio di pochi o del singolo, ma ad un bene superiore rispetto a quello del singolo individuo. E che quindi che risponda all’utilità di tutti (o di fasce estese della popolazione europea).

Competizione alta, grande capacità e propensione alla collaborazione, contesto innovativo e stimolante e opportunità che crescono al crescere della professionalità dei partecipanti. Questo è il contesto europeo in cui sono inserite le call.

Insieme a tutto questo è anche risorse economiche. E anche tante.
Ma quelli che hanno ottenuto i finanziamenti, con cui ho avuto il piacere di parlare, non mi hanno fatto rilevare l’aspetto economico dei loro progetti, quanto avevano preso come contributo, piuttosto quella che era la loro evoluzione e crescita in termini, prima di tutto, di attività e metodi lavorativi, idee, network e progettualità.
Molte volte a realizzare uno sviluppo reale che porta un aumento attraverso la capacità di fare meglio con meno o con le stesse risorse.
Quindi, non fate una richiesta pensando solo ai soldi. Non è utile per avere fondi dall’UE.

mercoledì 27 maggio 2015

Europa e l'innovazione sociale.

L'innovazione sociale (social innovation) è considerata dall'Europa uno dei driver più potenti per la creazione di un nuovo modello economico. Un complesso e crescente mondo che include parole come sharing economy, smart cities, open government e social impact, ma anche modelli nuovi di impresa e di business.
A questa riconosce diverse linee di finanziamento come ad esempio: il nuovo programma quadro per la ricerca Horizon 2020 "Europe in a changing world", le call dell'area INSO (social Innovation), l'obiettivo trasversale "Science With and For Society"sempre di H2020 e il programma Employment and Social Innovation (EaSI)
Ma andiamo con ordine. Facciamo prima una sorta di punto sul modo attuale di intendere la "social innovation".


IIn questo periodo storico in cui le imprese e dell’economia sono messo a “ferro e fuoco” dalla crisi, dove si va alla ricerca di modelli economici nuovi, fra nuove esperienze, sostenibilità, resilienza e sharing, si aprono i cancelli per i più visionari e futuristici. Una nuova sfida. Un campo definito dai termini “innovazione sociale” che cerca la sua identità.

La ricerca di nuovi percorsi in grado di ridefinire il modello di “creazione di valore”. Un “mercato” visto e approcciato in maniera “diversa”, che parte dal basso e che dal basso riceve i segnali per esistere. Un mercato partecipe, dove il cliente è protagonista attivo della creazione del prodotto che richiede.
Questo sottende, per le imprese, la possibilità di una efficace e sostenibile creazione di una nuova idea di prodotto, servizio, modello: trasformarsi in promotori, attori e protagonisti di pratiche di Social Innovation.
Partiamo da alcune semplici domande:
Può un’impresa dare risposta a bisogni sociali emergenti, presenti e passati, in modo innovativo, creando al contempo valore (non necessariamente economico) anche per se stessa? Come?
Come può un’impresa, attraverso la propria “value propostion” collocarsi come “attore di sostenibilità e miglioramento sociale” del contesto sociale in cui opera utilizzando il proprio business come leva per la creazione di nuove relazioni, collaborazioni e partnership e per proporre una risposta efficace (e redditiva) a istanze della collettività, sviluppando il proprio business?
Immaginiamo, per il domani, alcune sfide, alle quali in un mondo “globalizzato”, connesso e unico come il nostro, non ci si potrà sottrarre:
- una emergenza ambientale: un imminente possibile “disastro” globale (Global Change, Global Warming, perdita di biodiversità, necessità di cambio del sistema di risorse e quindi necessità di riprogettare il modello di vita) in un pianeta che a oggi conta 7,3 miliardi di persone, con squilibri sociali, economici e di accesso a servizi e risorse completamente differenti. E che non può impedire, ad esempio, ad un miliardo e 300 milioni di cinesi e un miliardo e 100 milioni di indiani contendersi lo stesso petrolio, la stessa acqua, la stessa aria per mutuare il modello si sviluppo che l’occidente ha rincorso fino ad oggi. O a un miliardo di Africani, che non riuscendo a mutuare un modello occidentale nel proprio territorio (anche a causa delle ingerenze dell’occidente) e subendo inoltre più di altri gli effetti del cambiamento climatico a migrare in massa verso opportunità di vita.
- una frattura demografica. Il vecchio continente, lo sta diventando veramente. Fra i più veloci in questo cambiamento ci sono l’Italia ed il Veneto. È in atto un aumento della longevità della vita (positivo) che diventa un problema paragonato a una diminuzione delle nascite. Realtà che scardina da noi i sistemi (oggi sempre più inadeguati) di welfare e di società. Inoltre le natalità immigrate superano quelle nostrane;
- un progressivo declino dell’occidente, che tradotto in altri termini rappresenta la fine del “dominio” dell’“uomo bianco” sul mondo.
Oltre a questi temi globali ne penso due molto più vicini al nostro sistema, senza alcun desiderio di interpretazione morale:
Il primo: In Italia, ma anche in altri paesi europei, lo stato sociale è in fase di contrazione. In Italia, legato molto a logiche assistenzialiste e non imprenditoriali, con il “terso settore” o il “no – Profit” rispondeva a bisogni dove lo stato non arrivava. Oggi, anche a causa di una robusta contrazione delle risorse provenienti dalla PA, soffre la carenza di una estesa capacità imprenditoriale, quella capace di assicurare sostenibilità alla propria impresa.
Il secondo: la crisi economica, che ci ha anche edotto sul fatto che non siamo scollegati dai problemi degli altri, ma anzi in maniera ognuna propria ne subiamo gli effetti, solleva e fa emergere nuovi bisogni sociali e rafforza, appesantendoli, i vecchi.
Il terzo: il nostro tessuto produttivo costituito, per la maggior parte, da medie, piccole e micro realtà imprenditoriali generalmente slegate e contrapposte, non regge la sfida globale che sposa grandi volumi ad attenzione al singolo e sempre maggiore personalizzazione. Anche a causa dello smarrimento di una identità di prodotto e servizio tailored sul bisogno del singolo cliente, a fronte della produzione di serie, e con un percorso forte di valore, tipico della cultura no profit, che va recuperato, esteso e migliorato.  
Ma crisi, nella lingua cinese è un ideogramma composto da due simboli, che, separatamente significano “pericolo” e “opportunità”(figura all'inizio del post)
In questo scenario di nuovi bisogni, sfide globali e opportunità le imprese (tutte) non possono permettersi di non sedersi a questo tavolo, non possono permettersi che il know how di cui sono portatrici sia tagliato fuori da una logica differente, attenta al percorso, al valore, alle persone. Una logica che rovescia le dinamiche che fino a ieri reggevano i percorsi di mercato. Oggi e sempre di più inefficaci. Da questo tema passano le future sfide di un vantaggio competitivo (o meglio, di un “vantaggio collaborativo”) per le imprese stesse.

“Social innovation can be defined as the development and implementation of new ideas (products, services and models) to meet social needs and create new social relationships or collaborations. It represents new responses to pressing social demands, which affect the process of social interactions. It is aimed at improving human well-being. Social innovations are innovations that are social in both their ends and their means. They are innovations that are not only good for society but also enhance individuals’ capacity to act.” Da Guide to Social Innovation 2013 – European Commission

In questo estratto la EC non fa nessun riferimento esplicito alle “imprese sociali”, di fatto lanciando un sasso verso il superamento di una distinzione profit / no profit, basata sull’impatto sociale. Superamento che alcune nazioni hanno già formalizzato (Francia, ad esempio).
E’ giunto il momento di avviare, per le imprese, un percorso di raccordo delle dualità che le caratterizzano (capitale e lavoro, ambiente e salute, economia ed ecologia) per abbattere un modello capitalistico obsoleto, iniquo e insostenibile e per ri - costruire un nuovo modello economico, sostenibile allo stesso tempo in senso sociale, ambientale ed economico.
E proprio in questa ultima affermazione che passa operativamente il tentativo per le imprese di inserirsi in tale processo di innovazione: attraverso azioni che sono allo stesso tempo capaci di produrre economia e miglioramento sociale.
Questo richiede anche il passaggio da un’ottica di "donazione" tipica di un certo modo di concepire la CSR, a un’ottica di rete, di ascolto, di co-progettazione, di condivisione delle azioni e dei fini.
In primis fra produttori e venditori di servizi e cliente, e, in Italia, anche tra mondo profit e No profit portatore di istanze e bisogni sociali, in grado di conciliare le esigenze di attori estremamente diversi tra loro in quanto a profilo culturale, metodologico e valoriale. La complementarietà delle risorse dei partner offre l’opportunità di generare soluzioni win win, in cui entrambe le parti perseguono i propri obiettivi sfruttando i vantaggi della collaborazione e ragionando in termini di innovazione.

Il presupposto è semplice: l’azienda prospera se il territorio, in cui opera, prospera (e viceversa). L’intuizione dello Shared Value può essere d’aiuto: mappando la catena del valore di un’impresa (asset, processi, attività già in essere presso l’impresa) è possibile identificare le aree ad alta potenzialità di generazione di valore condiviso, utile all’azienda e al contesto in cui opera. 
Si tratta di lasciarsi guidare dall’efficienza (utilizzando quindi tutti gli asset al massimo delle possibilità), di aprirsi ad una nuova cultura d’impresa, trasparente e collaborativa, in grado di trasformare l’impresa in interlocutore credibile in tema di innovazione sociale.
Identificare e mettere a disposizione le proprie leve di valore (come il know how, l’infrastruttura, i sistemi di gestione) a partner in grado di soddisfare bisogni sociali, entrando in una logica multidirezionale (impresa, partner, stakeholder, società), reticolare, di network.
Il processo di ricerca e sviluppo di un’impresa è un utile esempio, per quanto semplificato: abbracciare nell’azienda una strategia di innovazione sociale, significa trasformare le attività Ricerca e Innovazione Tecnologica da attività tipicamente interne a processi aperti e informali, che attivano intelligenza collettiva ed economie collaborative

Un ulteriore esempio ad alto potenziale è offerta dall’interazione strutturata e innovativa con i fornitori che compongono la supply chain, per rafforzare ad un tempo le attività di impresa, permettendo una crescita organica dei fornitori stessi, che a loro volta, incrementando la propria competitività e rilevanza sociale, possono farsi portatori di soluzioni innovative nei contesti di riferimento.

E ancora, da un altro punto di vista ad approccio più allargato, la strategia verso l’innovazione sociale si sposa con la crescita e lo sviluppo di un’idea di Smart Cities, dove le diverse componenti della società, unite da soluzioni tecnologiche innovative, individuano modelli di sostenibilità all’interno degli agglomerati cittadini, modelli fatti di relazioni, di servizi innovativi efficaci ed efficienti e di prodotti, attenti ai bisogni e alle persone, ma anche a peculiarità territoriali e culturali.

E proprio negli agglomerati cittadini che i megatrend che ci aspettano si faranno sentire forti nei prossimi anni, di cui ricordo, ad esempio: concentrazioni abitative, gestione intelligente e sostenibile in relazione alle reti energetiche, alla mobilità, agli edifici; efficienza energetica ed emissioni zero; popolazione giovane (indiana, cinese, filippina e africana) in Europa e, di contro, il 20% del totale mondiale di popolazione ultraottantenne; interazioni fra individui, macchine ed organizzazioni, integrazione di cloud pubblici e privati (Big Data), ambienti di simulazione (difesa, medicina, educazione, mobilità, solo per citarne alcuni), modelli di business basati sulla condivisione di risorse (ma anche di infrastrutture, macchinari, servizi), connettività principalmente wireless, ulteriore sviluppo della banda in termini di ampiezza e disponibilità da cui deriveranno nuove generazioni di applicazioni e servizi, intelligenza artificiale, esigenze sociali di ridurre a zero difetti, tecnologie emergenti (nano materiali, elettronica flessibile, laser, materiali intelligenti),  nuove infrastrutture e nuove soluzioni tecnologiche, nuove terapie, valore sociale della salute ed del benessere, metodi di prevenzione e di cura, automazione industriale, tecniche di intelligenza artificiale, robot intelligenti, produzione più rapida, efficiente e sostenibile, e quindi scomparsa di alcuni lavori, riuso, seconda e terza vita dei beni, reti multiple, integrate ed intelligenti e capacità di immagazzinare meglio e di più l’energia (storage).

Si tratta di un cambiamento culturale forte, che poggia sulle spalle della responsabilità sociale di ognuno, per uscire da una logica di “protezione” degli asset (operativi, reputazionali, etc.) ed entrare in un nuovo modello di vera creazione di valore.
Si tratta di un cambiamento forse ineluttabile per le imprese che aspirano a mantenere una leadership nelle pratiche di sostenibilità come strumento di competitività: un nuovo punto di vista, un nuovo modo di osservare i bisogni, sociali ed economici, e di interpretare il ruolo dell’impresa, rileggendo la propria identità (ottimizzando tutti gli strumenti già a disposizione), per offrire risposte condivise e sostenibili.